lunedì 2 febbraio 2009

P.A.T.I. :Lo strumento operativo della pianificazione territoriale

di Pontarollo A.

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La pianificazione territoriale ha come scopo lo studio delle tecniche di possesso del suolo, e porta ad elaborare gli strumenti per regolare l’uso del territorio.
L’assetto del territorio deriva dall’esito dell’attività sociale, dalla somma degli interventi nello spazio e nel tempo, in pratica dall’adattamento dell’ambiente alle esigenze della civiltà.
In Italia gli strumenti della pianificazione nascono dalla L.U.N. (Legge Urbanistica Nazionale) n°1150 del 1942, che definisce l’ordinamento statale dell’urbanizzazione e della pianificazione territoriale. Essa opera su due livelli distinti e ordinati per gerarchia: la pianificazione d’area vasta territoriale, relativa a parti di territorio ampi a livello regionale o sub-regionale; la pianificazione di dettaglio, ossia relativa ai singoli agglomerati urbani o comunali. Possiamo, quindi, distinguere da una parte i Piani Territoriali di Coordinamento (sia Regionali che Provinciali), i quali stendono le linee guida della pianificazione regionale, e dall’altra i Piani Regolatori Comunali, che individuano gli interventi particolari e locali.
A questa seconda categoria appartengono i P.A.T., o Piani di Assetto Territoriale, che possono assumere la valenza Intercomunale, se attuati da piccoli Comuni che aggregano a tale scopo i loro limitati territori: è questo il caso del P.A.T.I. 2008 attuato a livello di Unione dei Comuni del Canale di Brenta. Ogni P.A.T.I. ha durata decennale, e definisce le linee dello sviluppo territoriale locale attraverso due P.I. ( Piani d’Intervento) della durata di cinque anni ciascuno.
Possiamo individuare i tre elementi costitutivi di un Piano Regolatore nella rappresentazione cartografica (il disegno), nella stesura scritta delle considerazioni in merito (la relazione) e nel corredo legislativo seguito a tale scopo (le norme).
Questo breve escursus su aspetti non sempre conosciuti dell’intervento amministrativo a livello locale, ci permette di dare spazio ad alcune considerazioni in proposito.
Innanzitutto parliamo dei principi che stanno alla base della pianificazione territoriale: primo la coerenza, sia nella spazio (disegno cartografico), sia nel tempo (attuazione delle norme); secondo la flessibilità (capacità di correggere gli errori); terzo la trasparenza (il Piano deve essere a disposizione dei cittadini); ultimo la partecipazione/concertazione con i cittadini, appunto, e le associazioni di categoria.
Inoltre bisogna tenere presente altri aspetti fondamentali come la conoscenza (dei luoghi, dell’economia, degli usi), la previsione (capire i trend di trasformazione basandosi sui dati del presente) e la proiezione ( come gli aspetti del territorio varieranno nel tempo).
Molto importante è, inoltre, la V.I.A. (Valutazione d’Impatto Ambientale) e la V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) e ciò è comprensibile a livello di conservazione ambientale, territoriale, paesaggistica; questi strumenti si inseriscono in una più ampia tutela dei valori naturali, del patrimonio culturale e del paesaggio che sono sanciti dalla L.U.N. del 1942, e che devono sempre essere alla base della pianificazione consapevole e sostenibile.
Discorso a parte meritano le invarianti, che come dice il nome stesso non sono altro che gli oggetti caratterizzati dalla permanenza e dalla costanza dei valori di proprietà: essi sono il sistema strutturale, il sistema storico-ambientale, il sistema morfologico e il sistema insediativo; questi elementi fanno parte del territorio e devono essere presi in considerazione come immutabili, per ovvi motivi di proprietà (una casa, un’azienda, una chiesa), di utilità (una strada, la ferrovia, una diga), o per motivi legati alle caratteristiche ambientali (un fiume, un lago, un monte).
La pianificazione odierna interviene maggiormente, quindi, nelle aree marginali o “vergini”, se così si può dire, in cui si crea nuovo territorio (processualità); oppure interviene nel rapporto tra i vari oggetti del territorio (interconnessione), considerando sia le varie criticità che le priorità.
Il compito che le varie Amministrazioni devono svolgere per elaborare Piani Regolatori che tengano conto di tali e importanti aspetti non è dei più semplici, sia per gli interventi (industrie, urbanizzazione, uso del suolo), sia per la durata decennale del Piano; c’è da sperare che gli attori in gioco siano in grado di considerare aspetti come la previsione e la proiezione quali linee guida nella presa di decisioni importanti; c’è ancora da sperare che la Valutazione d’Impatto Ambientale non sia modellata da interessi economici e che la salvaguardia ambientale e la sostenibilità dello sviluppo siano i pilastri della pianificazione nei Comuni della Valle del Brenta.
Il P.A.T.I. non deve assolutamente essere visto come una lottizzazione sistematica e calcolata del territorio a disposizione dei Comuni, fatta seguendo la mera valutazione economica e considerando il rapporto costi/benefici. Il Piano, al contrario, deve essere l’occasione per la valorizzazione delle peculiarità ambientali e territoriali locali, per permettere lo sviluppo sostenibile, coerente e consapevole delle comunità valligiane, inserite come sono in un tessuto provinciale e regionale tra i più sviluppati del Paese. Il senso della pianificazione è da ritrovasi, in ultima analisi, nella somma dei concetti di territorio e di paesaggio, e nella ferrea volontà di sviluppare il primo salvaguardando il secondo. Solo in questo modo questi elementi fondamentali per la nostra esistenza continueranno ad essere l’humus in cui noi cresciamo e prosperiamo consapevoli di lasciare alle generazioni che verranno un patrimonio di inestimabile valore.
Il P.A.T.I. quindi, da strumento operativo della pianificazione territoriale deve trasformarsi in strumento operativo dello sviluppo della società umana, deve operare nell’interesse della comunità nel lungo e difficile cammino dell’evoluzione culturale e territoriale. Perché le scelte fatte oggi creino un’opportunità e non un limite per le scelte di domani.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Essendo l'articolo molto ben scritto, ed avendo lo stesso un chiaro intento divulgativo, mi permetto di apportare tre piccole correzioni a quanto affermato dal buon Andrea Pontarollo:
1. Un PAT (o PATI) non ha durata di soli 10 anni, ma muove la sua progettualità sulla base di una previsione decennale. Questo vuol dire che una volta approvato, anche trascorsi i 10 anni cui mirava con le sue previsioni, questo rimane in vigore fino a sua sostituzione con nuovo strumento urbanistico(in soldoni un nuovo PAT o PATI).
2. Il PATI dei sei comuni della Valbrenta non è il PATI dell'Unione dei Comuni (ci sono due Unioni dei Comuni in Valbrenta invece che un'unica Unione che prenda dentro tutti e sei i comuni - purtroppo!), ma solo uno strumento di pianificazione condiviso da sei Amministrazioni. Ciò tuttavia non ne svilisce l'importanza.
3. Il PATI è strumento di pianificazione e non strumento attuativo di Piani sovraordinati. Esiste ovviamente la gerarchia con il PTCR e il PTCP, ma l'unico strumento attuativo in questo caso è il PI.
Ampiamente condivisibile la valutazione sull'importanza di questo strumento innovativo di pianificazione.
R.C.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu